Il Salone del Mobile: “Thought for Humans, Giorgia Bonera per Bre Magazine
Il Salone del Mobile: “Thought for Humans, Giorgia Bonera per Bre Magazine
1. Il fascino della morbidezza
“Un pezzo d’arredo è, prima di tutto, un elemento di seduzione con cui instauriamo un rapporto quotidiano.”
Christophe Delcourt
È cosi giunta al termine la 63° settimana del Salone del mobile, che rappresenta tutto fuorché un mero esercizio di stile ma un business che crede nel potere dell’innovazione e nella qualità. L’edizione 2025 ha raggiunto la quota di 302.548 presenze, presentando 2.103 espositori da 37 Paesi. Un dato senza uguali è stato l’Indice di presenze estere confermando la Cina la prima nazione in classifica.
A questi numeri è doveroso menzionare le 39mila presenze al Salone Satellite che con il tema “nuovo artigianato: un mondo nuovo” ha contato 700 partecipanti provenienti da 36 paesi e 20 scuole di design da tutto. Il primo premio a “Utsuwa-Juhi Series”, i vasi e contenitori di Kazuki Nagasawa dello studio giapponese Super Cat. Il designer reinterpreta l’artigianato giapponese, conservatore della storia e cultura, scegliendo come materiale la corteccia, utilizzando tecniche di pittura tradizionali per creare design mutevoli, riducendo l’impatto della produzione.
A cura di Giorgia Bonera
2. Il progetto come gesto di benessere
Dopo questa introduzione piuttosto tecnica è importante menzionare il quadro mondiale in cui si è svolta questa Design Week, un momento di tensioni e incertezze dove sembra che avere solide radici e lo sguardo rivolto al futuro sia necessario per il nostro sistema industriale. Se nel mondo si respira un’aria di incertezza nei padiglioni i brand presentano ambienti rassicuranti. Potremmo definire questo trend “quiet design” composto da colori neutri e forme morbide che fanno della casa il luogo dove rifugiarsi e rassicurarsi.
Se dovessi fare un viaggio all’interno dei padiglioni con un neofita del mondo del design, utilizzerei per sottolineare l’importanza di ciò che vediamo e tocchiamo con mano senza ombra di dubbio le parole dell’architetta Antonelli, che definisce il buon design come “un atteggiamento rinascimentale che unisce tecnologia, scienza cognitiva, bisogno umano e bellezza per produrre qualcosa che il mondo non sapeva che mancava”.
Ciò che mette in evidenza è essenziale per capire iniziative come la design week, ovvero il fatto che il design non è styling, non è uno stile ma qualcosa di ben più complicato.
Per la sezione living, gli imbottiti – poltrone e divani – si riconfermano i protagonisti nella definizione delle nostre case. Il divano si ribadisce componibile e confortevole, concetti estremamente collegati alla flessibilità di un ambiente di case sempre in evoluzione, dove le esigenze mutano e l’arredo segue la storia delle persone che le case, le abitano. Le morbide imbottiture garantiscono un sostegno soffice avvolgente e le finiture in pelle, similpelle e microfibra incorniciano il design del prodotto esaltandone le curve. Le sedute uniscono geometria e struttura, leggerezza e fluidità. Alcuni schienali avvolgono come un abbraccio con precisione l’interlocutore, altre spalliere si trasformano in intrecci fitti di trame.
Il rovescio della medaglia di quest’anno è il ritorno di un minimalismo funzionale e l’utilizzo di un rigore e simmetria estremo. Lo ritroviamo in ogni ambiente della casa, nello specifico negli elementi versatili dei sistema a montanti, vedendo versioni a parete terra-cielo o bifacciale. Rivediamo il gioco di forme basate sulla purezza estetica, espresse con l’intersezione e compenetrazione di due volumi, e il gioco visivo e strutturale del pieno e vuoto.
3. Quando la sostenibilità è sostanza
La sostenibilità è ormai sempre più dirompente ciò si denota dalla scelta di materiali naturali che rivestono gli oggetto: legno, ceramica e il velluto sono stati ampiamente utilizzati, conferendo ai prodotti calore e accoglienza.
4. Rileggere il passato con occhi nuovi
Il design incontra lo sport presentandoci una collezione ideale per la casa firmata Technogym che presenta, oltre una serie di attrezzi per l’allenamento, guardando le ultime tendenze del benessere presentando un reform per un’esperienza di Pilates fluida e intuitiva ma senza mettere in secondo piano il design e l’impatto estetico.
5. Materiali che raccontano storie
Ma la vera protagonista di questo Salone del Mobile è la luce ha dimostrato quanto l’illuminazione assumerà un ruolo centrale nella progettazione delle nostre case e di spazi pubblici, salvaguardando il futuro del nostro pianeta e il valore della nostra vita con 306 espositori, di cui il 45% esteri. In occasione dell’appuntamento biennale, The Euroluce International lighting Forum ha debuttato, con la sua prima edizione, esibendo un laboratorio di conoscenza innovazione per il futuro del lighting design.
Tra gli espositori troviamo due aziende bresciane: Platek e Flos. Entrambe colpiscono per la cura in ogni dettaglio, la profondità dei progetti e un’innovazione non urlata o scritta, ma da poter toccare.
6. Il design che diventa cultura
Senza precedenti è stata l’installazione Villa Héritage, nei padiglioni 13-15, del celebre architetto francese maestro dell’ospitalità di lusso Pierre-Yves Rochon, rappresentando la proposta espositiva immersa di “A Luxury Way”. Racconta, di certo una storia diversa da quello che ci si aspetta nella contemporaneità, per dimostrare che ciò che c’è oggi esiste perché nel passato sono esistite altre cose, ecco perché Héritage. Il messaggio di Rochon è incredibile per la sua profondità e semplicità: l’installazione parla di un’impronta stilistica ancorata al passato ma vista da coloro che quell’espressione non l’hanno vissuta. L’estetica è qualcosa che va oltre il tempo, i trend e il conformismo. Perciò invita i creativi a sviluppare idee svincolandosi da ciò che vivono perché “sarà il mondo a decidere se l’hanno fatto bene”.
Pierre-Yves Rochon commenta: “L’eredità non è un vincolo; è una fonte di libertà. Comprendere e padroneggiare il lascito del nostro mestiere ci fornisce gli strumenti per reinventare e superare i confini del design. Villa Héritage celebra questa dinamica tra storia e creatività contemporanea e coinvolge tutti i sensi, offrendo un’esperienza in cui luce, texture e suono si uniscono per creare emozione. L’arte è la nostra eterna fonte di ispirazione, elevando il design a un dialogo senza tempo con l’umanità”.
7. Cosa ci portiamo a casa
Nel padiglione 22-24 prende vita l’installazione di Paolo Sorrentino “La dolce attesa”. È un’esperienza che trasforma lo spazio in un binomio tra due verbi: attendere e aspettare. Il primo non significa stare fermo ma inseguire, senza stare fermi. Aspettare è improcrastinabile, è il tempo scandito da un battito di orologio, dove il tempo non passa. Nel vuoto di quella sala si assaporano entrambi il gusto di questi due verbi.
“Parliamo dell’attesa di un responso medico. Quel tipo di attesa diventa una sospensione. Rimaniamo appesi. Fermi, tesi, nervosi. E angosciati. E la sala d’attesa, così come è stata concepita fino a oggi, è solo un’amplificazione dell’angoscia. Tra pareti bianche, sedie scomode, monitor che proiettano numeri, impiegati scontrosi, si finisce per accanirsi ossessivamente sullo smartphone. Forse, allora, dovremmo ripensare l’attesa. Ingannarla. Viaggiare e perdersi nel viaggio come in un vago senso di ipnosi. Così, forse, aspettare può diventare meno penoso. Perché diventa altro. La nostra sala d’attesa vuole essere un’altra cosa. Non ti costringe a star fermo, ma ti lascia andare. Un piccolo viaggio, come da bambini, su giostre rassicuranti.
Da adulti, i cavallucci sono diventati poltrone come gusci, come ventri materni. Gli impiegati riluttanti sono sostituiti da uomini e donne che ti riconciliano con un’idea di tranquillità. Ti sorridono e sanno regalare una carezza paterna. La vista si concentra su un coacervo di vetri smerigliati che occultano, deformano, l’unico elemento che, se continua a battere, ci allunga la vita. È il cuore. Nascosto, misterioso, eppure lui è lì, a ricordarci che non è ancora finita”.
Max Casacci, noto compositore musicale, ha composto la parte sonora come un battito che si infonde nel ritmo del respiro di chi vive l’installazione. Margherita Palli, scenografa, racconta che durante il primo incontro con Sorrentino non sapeva cosa aspettarsi e quando ha ascoltato la sua idea di attesa ha pensato di procedere come se fosse una scenografia di un’opera lirica.
Ed è così che, in una settimana in cui tutto scorre a ritmi serrati, il regista ci invita a riflettere su un intervallo di vita sincero, in cui l’attesa trasforma lo spazio in un campo di emozioni librate in aria. È curioso, come due importanti figure della nostra contemporaneità ci invitino a riflettere mediante gli spazi che viviamo. Suggerendoci una pausa, assaporando l’autentica bellezza che emoziona e connette le persone.